L'attualità della piazza e il vecchiume della Leopolda

La grande manifestazione della Cgil ha mostrato, ancora una volta, la freschezza e la modernità del conflitto sociale e l'attualità di una lettura di classe dello scontro in atto nel Paese. La parola "lavoro" risuona come la priorità nell'agenda politica italiana e viene coniugata, indissolubilmente, con il tema dei "diritti". I due concetti vivono in simbiosi, in un necessità di interazione. Il mito della flessibilità ha prodotto la deregulation del mercato del lavoro, un costante processo di impoverimento dei lavoratori e dei pensionati, una precarizzazione esistenziale e l'impossibilità di accesso alla produzione da parte delle nuove generazioni.
Una lettura adeguata dell'attuale fase di riorganizzazione sociale e democratica del Paese non può prescindere da un'analisi puntuale sulla violenza dello scontro di classe in atto. Non c 'è affatto una visone ottocentesca: tale fenomeno si manifesta con una implacabile evidenza e scevro da qualsiasi impianto ideologico.
Chi vuole far finta di non vedere può sempre arroccarsi nel sarcasmo post-ideologico, nella denigrazione del conflitto, nella post-modernità di una politica veloce e superficiale, nell'analisi della fase limitata alle battute consentite da Twitter... Una presunta post-politica figlia di un interclassismo in cui bisogna shakerare le parole e privarle del proprio senso.
Insomma, la vecchia politica cerchiobottista che riusciva ad accontentare operai e capitalisti, finanzieri spregiudicati ed esponenti della sinistra politica, lavoratori e speculatori, sindacalisti compiacenti e padroni senza scrupoli. Una carrellata di maschere che, in questi giorni, ha deciso di fare capolinea alla vecchia stazione Leopolda.

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