L'Italia, Salvini e la colpevole nostalgia del Politburo...

L’analisi del voto merita tempo; necessita un approfondimento sui flussi elettorali e una scrupolosa attenzione nella lettura di numeri accorpati e disaggregati. Insomma, un lavoro scientifico adeguato alle prerogative di una scienza, qual è la politica.
A poche ore dall’esito definitivo dell’elezioni europee mi sento di avanzare solo qualche superficiale riflessione ed alcune ipotesi di lavoro.
Il risultato era ampiamente prevedibile e ciò dimostra come ormai la costante attività sondaggistica sia in grado di monitorare (e forse anche di influenzare) i risultati elettorali in modo puntuale e rigoroso.
La Lega come primo partito, con percentuali oltre il 30%, veniva testata in tutti i sondaggi e la costante attività di rosicchiamento sull’elettorato del Movimento 5 Stelle, cominciata all’indomani dalla nascita del governo Conte, ha avuto l’epilogo scontato nel momento in cui sono state pubblicate le prime proiezioni.
La Lega, in un anno di governo e grazie ad una tattica politica spregiudicata, ha ribaltato il rapporti di forza all’interno della colazione di governo. Non è semplicemente l’effetto di una strategia di comunicazione, giocata con la presenza massiccia sui social e in televisione.
Come afferma un pedagogista della comunicazione, qual è Marco Caligiuri: "l'eccesso informativo diventa sempre più spesso causa di opacità e di confusione, piuttosto che facilitare la comprensione della realtà."
È molto probabile, pertanto, che l'esposizione mediatica di Salvini sia servita a abbassare il livello della consapevolezza e della partecipazione politica, delegando al leader una rappresentanza popolare diffusa.
Tuttavia, Salvini ha elaborato un programma politico minimo che ha avuto il merito di essere comprensibile nella comunicazione: difesa della sovranità nazionale e dei confini; esaltazione della politica di sicurezza pubblica; politica economica liberista con vantaggi fiscali alla media impresa; politica estera pensata in sinergia con Trump e in alleanza coi nazionalisti europei.
A ciò si aggiunge la rete di governo locale che, soprattutto nel Nord del Paese, ha dato prova di capacità di governo, in modo capillare e duraturo.
Inoltre Salvini ha giocato, contemporaneamente, su due campi di gioco: ha fatto il ministro con funzione istituzionale e il leader populista che, in abiti informali, parla alla pancia del Paese. 
Con questa tattica la Lega è riuscita ad accaparrarsi la metà dell’elettorato che, l’anno scorso, aveva votato i grillini; i quali invece, hanno mostrato limiti politici e improvvisazione istituzionale nel dirigere il difficile passaggio di governo. La prova del governo si mostra difficilissima, soprattutto per un movimento che ha costruito la sua presenza, sulla scena politica nazionale, esaltando pulsioni pre-politiche con un semplice e generalizzato “vaffanculo”.
Il Pd non vince affatto, come invece sostiene la pubblicistica più accreditata, né sottrae voti all’area di governo. Il nuovo corso di Zingaretti, in realtà, non è ancora iniziato tanto che, in termini assoluti, Il Partito democratico ottiene lo stesso risultato delle elezioni politiche del 4 marzo 2018. Rimangono in cassaforte sei milioni di voti che, a causa della bassa affluenza al voto, fanno guadagnare ai dem quattro punti percentuali. A destra Forza Italia perde voti a vantaggio della Lega e di Fratelli d’Italia.
Il risultato della Sinistra è direttamente proporzionale all’incapacità dei suoi gruppi dirigenti di avviare in tempo un percorso credibile, promuovere un programma convincente, far conoscere al Paese il simbolo e l’efficacia di una proposta politica. A quarantacinque giorni dalle elezioni non si sapeva ancora con quale simbolo e quali candidati saremmo andati al voto e la responsabilità di tale incapacità è da addebitare a gruppi dirigenti autoreferenziali che pensano che gli elettori rimangano fermi ad aspettare le decisioni assunte dal politburo.
Ma il problema non è organizzativo, è politico. Anzi, è solo politico. 
“La politica deve ancorarsi a valori, meglio a principi e deve agire per interessi, meglio per bisogni (…) la politica cammina su due gambe, il conflitto e la mediazione che non sono alternative ma complementari. Se usi una sola delle due gambe o zoppichi o cadi. Il lungo cammino che vuole arrivare a una meta pretende il doppio passo”
Lo sostiene il teorico dell’operaismo italiano Mario Tronti ed io sono molto d’accordo e ritengo che il limite più grande della Sinistra, negli ultimi anni, sia stata la sua incapacità di coniugare l’effervescenza conflittuale dei movimenti dentro una pratica politica ed istituzionale in cui è necessario esercitare scelte di mediazione.
La sinistra ha confuso i valori con una rigidità identitaria; ha rinchiuso i propri principi per paura delle contaminazioni; ha pensato che agire in nome di interessi di parte fosse disonorevole; ha abbandonato l’idea di offrire risposte ai bisogni dei territori per paura che potessero inficiare la radicalità di una proposta generale.
La sinistra ha evocato il conflitto, senza praticarlo; ha rifiutato la mediazione per paura di perdere la propria purezza. Insomma, la sinistra ha rinunciato a fare politica e per questa ragione, davanti ad un prova elettorale importante, si ferma all’ 1,8% dei consensi.
Non basta mettersi insieme, per ottenere risultati politici né superari sbarramenti, bisogna costruire un’opzione politica credibile, di lunga durata che non scimmiotti le pulsioni anti-politiche né si prodighi nel tentativo di attuare un “populismo di sinistra”.
Bisogna riorganizzare i soggetti sociali di riferimento, ricostruire una nuova “consapevolezza di classe”, restituire una soggettività politica al nuovo proletariato disgregato della società contemporanea, che ormai ha perso qualsiasi connessione con la sinistra e ancora peggio con la politica. E si affida all’antipolitica o ai populisti che agitano la paura come soluzione alle contraddizioni di classe.
C’è, inoltre, una grande sfida per la Sinistra rappresentata dalla questione ambientale che è una delle contraddizione fondamentale della nuova fase di sviluppo del capitalismo contemporaneo e che non può essere consegnata esclusivamente ad istanze di movimento spontaneo o, ancora peggio, ricondurla dentro dinamiche populiste.
La questione ecologica è un tema politico, economico, culturale. E la Sinistra deve cogliere l’importanza della sfida, a partire dalla consapevolezza che è necessario avere un’organizzazione politica che colga la centralità della questione e sappia lavorare alla trasformazione della società. È necessario avere una idea di futuro e una contingente capacità di governo, soprattuto nei territori e nelle città, in grado di rispondere a bisogni, esigenze ed interessi diffusi.
In alternativa, si può rimanere fermi convinti che il popolo attenda le decisioni del politburo per dare avvio alla Rivoluzione...

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