L'Italia, quando la Politica diventa teatro dell'assurdo.

Nel giorno successivo alla condanna di Berlusconi per frode fiscale abbiamo assistito ad una meravigliosa rappresentazione teatrale dell'Italia contemporanea. Un Paese che si racconta attraverso un'appassionata sceneggiata napoletana, tutta lacrime e orgogliosa vendetta, sullo stile di Mario Merola.
Una sequela di saltimbanchi che recitano un canovaccio, improvvisando scene da commedia dell'arte davanti alle telecamere. Sullo  sfondo compare una doppiezza pirandelliana in cui personaggi in cerca d'autore danno una rappresentazione fantasiosamente vera della realtà: così è se vi pare.
Qualche scena da telefono bianco; diverse citazioni dal Caligola di Carmelo Bene; il coro della tragedia greca che amplifica i concetti; ed immancabili, come nel cabaret, nani veri, puttana vere e ballerine vere.
Ma il dominus della scena è la parola: quella stiracchiata dal suo significato autentico, quella estrapolata dal contesto, quella sbrindellata dal turpiloquio e sedotta dalle movenze sensuali di corpi unti e bisunti.
Ma la "scena madre" è la riproposizione macabra di un pezzo di teatro dell'assurdo: Lui e Lei che, come nel "Delirio a due" di Ionesco, continuano a litigare esaltando la follia, insensibili al crollo della propria casa sotto i bombardamenti.
Questa ipotetica contaminazione teatrale, una simile mistificazione semantica, un'apparente e suggestiva rappresentazione del paradosso, in Italia, si chiama Politica.

"Lo vedi, è ancora guerra." Dice Lei ma Lui risponde: "No. Fanno giustizia con serenità. Hanno installato la ghigliottina al piano di sopra. Vedi bene che è la pace."

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